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L’Istituto dell’ “In House Providing” tra Normativa in Tema di Appalti Pubblici e Tutela della Concorrenza

  • Immagine del redattore: Fiorenzo Auteri
    Fiorenzo Auteri
  • 17 ago 2024
  • Tempo di lettura: 2 min

Introduzione

L’istituto dell’“in house providing” rappresenta un importante meccanismo giuridico utilizzato dalle amministrazioni pubbliche per affidare direttamente servizi o attività a soggetti giuridici da esse controllati. Questo modello, che si pone in deroga al principio generale della gara pubblica, è al centro di un dibattito giuridico e dottrinale per le sue implicazioni sulla concorrenza e sull’efficienza della pubblica amministrazione.


Origini e Fondamenti dell’In House Providing

L’in house providing trova le sue radici nel diritto comunitario e, in particolare, nella giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE). La Corte, già dalla sentenza Teckal del 1999, ha stabilito i criteri che legittimano l’affidamento diretto di contratti pubblici a società controllate dalla pubblica amministrazione, introducendo le nozioni di “controllo analogo” e di “attività prevalente”. Secondo questa impostazione, l’affidamento diretto è lecito se l’ente pubblico esercita sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e se la società svolge la parte più rilevante della sua attività per l’ente che la controlla.


Il quadro normativo italiano

Nel contesto italiano, l’in house providing è regolato dal Codice dei Contratti Pubblici (D.lgs. 50/2016), che recepisce la disciplina comunitaria. L’articolo 5 del Codice stabilisce che l’affidamento diretto è ammesso se sono rispettati i requisiti del controllo analogo, dell’attività prevalente e dell’assenza di partecipazione privata, salvo eccezioni previste dalla legge. Questa normativa si propone di armonizzare la possibilità di ricorrere all’in house con i principi di trasparenza, concorrenza e parità di trattamento.


Concorrenza e “in house providing”

Il ricorso all’in house providing, sebbene ammesso, rappresenta una deroga rispetto al principio generale della concorrenza, poiché esclude la possibilità per altri operatori economici di partecipare alla gara. Ciò ha sollevato preoccupazioni, sia a livello comunitario che nazionale, in merito al rischio di riduzione della competizione e dell’efficienza nell’erogazione dei servizi pubblici. Per questo motivo, la normativa italiana prevede che l’in house sia utilizzato in modo residuale, giustificato da ragioni di efficienza, economicità e necessità di controllo diretto.


Giurisprudenza e orientamenti

La giurisprudenza nazionale e comunitaria ha ulteriormente affinato i criteri per il ricorso all’in house, enfatizzando la necessità di rispettare rigorosamente i requisiti previsti per evitare abusi e distorsioni della concorrenza. La Corte dei Conti italiana, in particolare, ha richiamato più volte le amministrazioni pubbliche a motivare adeguatamente le decisioni di ricorrere all’in house, in particolare dimostrando che questa scelta è effettivamente più vantaggiosa rispetto alla gara pubblica.


Sfide e prospettive

Il futuro dell’in house providing si giocherà sull’equilibrio tra la necessità di garantire servizi pubblici efficienti e controllati direttamente dall’amministrazione e l’esigenza di non comprimere ingiustificatamente la concorrenza. La crescente attenzione della normativa e della giurisprudenza verso una maggiore trasparenza e una più rigorosa applicazione dei criteri di controllo e attività prevalente, sembra orientata a limitare l’uso indiscriminato di questo strumento, a vantaggio di una maggiore apertura del mercato.


Conclusione

L’in house providing è un istituto complesso che, se da un lato risponde alla necessità di controllo e gestione diretta da parte delle amministrazioni pubbliche, dall’altro deve essere utilizzato con cautela per non compromettere i principi di concorrenza e trasparenza che sono alla base dell’ordinamento giuridico europeo e nazionale.



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